STRUTTURA E FUNZIONAMENTO DEL ROCCOLO

 

La struttura dell'impianto

Il roccolo è composto da due elementi ben distinti, come si può notare nella tavola n°3 “Sistema costitutivo di un roccolo tipo” (download a fondo pagina), ma in stretto rapporto tra loro: il casello e l’impianto vegetale (1).

L’impianto arboreo o vegetale, chiamato più comunemente “tondo”, è caratterizzato da una forma circolare o a ferro di cavallo contornata da alberi, generalmente da carpini bianchi ( Carpinus Betulus), disposti e tagliati in modo da creare vere e proprie architetture verdi. La forma dell’impianto è data dalla galleria, composta da una doppia fila di carpini (che assumono il nome dialettale di “sigalér” o di “arcunada”) che definiscono la struttura di sostegno delle reti, riuscendo pure a nasconderla tramite le fronde. Questa struttura, chiamata “spalliera”, realizzata originalmente in legno e oggi in tubi di acciaio, è all’incirca alta quattro metri e larga poco più di un metro. Le reti, sorrette verticalmente ma leggermente inclinate (dal mezzo del corridoio alla base del cerchio esterno), devono essere ben tese e costituite da una maglia più o meno fitta a seconda della specie di uccelli che si vogliono catturare. Dato che la rete non giunge fino a terra, si fa correre lungo il cerchio una piccola siepe (di bosso, di ligustro o viburno) di 25-30 cm d’altezza.

I rami degli alberi della galleria vengono potati in modo da creare una serie di finestre attraverso le quali gli uccelli, cercando una via di scampo, restano intrappolati nella rete. La potatura viene rigorosamente effettuata dopo il solleone, tecnica che consente alle piante di assumere un aspetto più sano e più curato, caratteristiche utili per richiamare l’attenzione dei volatili.

Esempi di galleria

 

Roccolino Moretti (G1) sul M.te Farno

Roccolo del secco (R6) in località Monticelli

Roccolo B4 in località San Martino

 

Il “boschetto”, ossia la parte centrale del tondo, è occupato da una serie di alberi di specie diverse e con diverse funzioni, anch’essi soggetti ad un’attenta potatura. Il seccone è l’albero che domina questa parte del roccolo, con la sua notevole dimensione e con i rami rigorosamente spogli, per invitare la posa agli uccelli.

Attorno ad esso si erge quindi il boschetto, destinato prevalentemente agli alberi da pastura per uccelli, di altezza progressivamente degradante fino a raggiungere il livello della galleria. Il sottobosco deve invece essere tenuto a prato, con tagli regolari, così come lo spiazzo posto tra il casello e il boschetto.

Molti impianti di cattura possono avvalersi di uno o più “sottotondi”, ossia altri archi arborei, variamente collegati con il tondo, disposti in modo da aumentarne la capacità di cattura.

Roccolo della Misericordia (R2)

Il roccolo è quindi una vera e propria opera architettonica che richiede particolari attenzioni e una cura davvero attenta, specialmente per quanto riguarda l’impianto vegetale, che necessita di potature frequenti e tecniche di intervento proprie dei giardinieri. La tecnica venatoria veniva esercitata nei mesi autunnali, da metà settembre ai primi di novembre, ma sin dalla primavera cominciava la cura del tondo. Il risultato è un impianto dalle elevate qualità estetiche e decorative che caratterizza il paesaggio montano e collinare.

 
 

Gli schemi illustrati sono ispirati alle immagini presenti nel volume "I roccoli della bergamasca" - (download dell'elaborato grafico a fondo pagina)

 

Il casello del Roccolo

Roccolo B5 sul M.te Crocione

Il roccolo, collocato spesso su terreni in lieve pendio, ospita, nella parte più elevata, il casello, posto in tangenza col tondo. Esso veniva realizzato prevalentemente in pietra, per quanto riguarda la parte portante costituita dalle pareti, e legno, per i solai, le coperture e per rivestire esternamente il piano più elevato.

Il casello, che è generalmente disposto su tre piani collegati tra loro con scale interne o esterne, presenta la forma della torre, solitamente a pianta quadrata, ma anche circolare. Esso viene generalmente coperto da piante rampicanti, meglio se sempreverdi, o da alberi per favorire la mimesi, che non devono però, per nessun motivo, impedire la visibilità e la possibilità di azione.

Il pianterreno ospita le gabbie per gli uccelli, quello soprastante viene utilizzato come alloggio, mentre l’ultimo, che ha una vasta visuale sullo spazio circostante, è il vero e proprio luogo di lavoro dell’uccellatore dove, con immensa pazienza, attendeva il passaggio di qualche stormo per poi entrare in azione. La “stanza dell’uccellatore” è dotata di una o più feritoie (chiamate in bergamasco “spiaröle”), che servivano per scrutare i cieli, e da una finestrella, chiamata “sboradura”, dalla quale veniva lanciato lo spauracchio.

Lo schema essenziale della brescianella si distingue da quello del roccolo per la sua collocazione sui terreni pianeggianti, per la forma rettangolare assunta dal giro di alberi che costituiscono l’impianto vegetale, per l’altezza più ridotta del casello e per il fatto che nell’area centrale non c’è il boschetto ma un terreno completamente libero.

Roccolo di Don Antonio (G6) presso il Campo d'Avene

Roccolo Testa (B7) in località Cà Spess

Roccolo Astori (G10) sotto il Campo d'Avene

 

Il funzionamento del roccolo

Il funzionamento del roccolo, schematizzato nella tavola n°3 “Sistema costitutivo di un roccolo tipo” (download a fondo pagina), consiste nell’attrarre a sé gli stormi di uccelli in migrazione mediante sia la bellezza dell’impianto arboreo, visto come un piccolo “paradiso” posto tra boschi impervi e prati, che dai richiami, tra cui figura lo zimbello ( sàmbel), legato ad uno spago mediante imbracatura. I volatili si dirigono quindi verso il tondo per effettuare la sosta, invogliati dai frutti per la pastura e dagli alberi per la posa ( sèch o brucù), ma nel momento in cui vi si stanno per posare il roccolatore, che da tempo li osserva dalla feritoia ( spiaröla) posta nel locale sulla sommità del casello, li spaventa mediante un fischio e lanciando dalla finestrella lo spauracchio ( sboradùr). Esso è un attrezzo che serve per simulare l'attacco di un falco ed è composto da un manico con l'aggiunta di alette di rametti intrecciati. Gli uccelli, in preda al panico, scappano nella boscaglia per cercare di sfuggire al falso rapace, evitando di dileguarsi nel cielo a causa della maggiore esposizione cui verterebbero. Ma la fuga viene interrotta dalle solide reti montate sulla galleria ( coridùr), nelle quali gli uccelli restano impigliati in attesa che sopraggiunga l’uccellatore, che li depositerà in gabbia.

In seguito sono elencati gli strumenti di cui si serviva l’uccellatore per esercitare la propria professione (1).

 

Schizzo delle reti montate nella galleria

Le reti

Elemento importante per l’avvio dell’attività venatoria, la rete viene montata sulle spalliere che compongono la galleria in modo lievemente obliquo. Essa viene fissata in alto tramite degli anelli, che scorrono su un filo di ferro, e in basso, generalmente, con degli uncini di legno conficcati nel terreno.

Le reti usate erano di numerosi tipi, in relazione del tipo di uccelli che si intendeva catturare: la “rét oselina” (rete uccellina), sottile e con maglie spesse (18 mm), utilizzata per gli uccelli piccoli; la “rét oselina bastarda” (rete uccellina bastarda), con maglie leggermente più grandi (19-20 mm); la “rét frangueléra” (rete fringuellera), per la cattura di fringuelli, peppole, ecc, avente una maglia di 21-22 mm; “rét frangueléra bastarda” (rete fringuellera bastarda) o “frisunéra”, a maglia media; la “rét sdurdéra”, usata per i tordi e simili, della maglia di 28 mm.

 

Esempi di spauracchio

Lo spauracchio

Il nome dato alla finestrella del vano più alto del casello, la “sboradura”, deriva da “sboradùr”, gergo dialettale con cui viene chiamato l’attrezzo utilizzato dall’uccellatore per spaventare i volatili, noto più comunemente con il nome di “spauracchio”. Esso è un utensile, della dimensione di 50 cm circa, formato da un manico da presa, che può essere un rametto di castagno o di robinia, ornato un tempo da penne di rapaci, poi intessuto con vermene flessibile.

Il roccolatore ne teneva disposti a portata di mano un buon numero, per avere così la possibilità di effettuare rapidi e molteplici lanci.

Il suo nome, che può risultare assai strano, sembra derivare da “bór” o da “borì”, cioè abbaiare o latrare. Il suo accostamento ad altre parole dialettali, però, permette di ottenere significati composti: “bór la légor”, cioè scovare la lepre; “bór adòss a ergü”, cioè scagliarsi contro qualcuno; “sborì vià”, cioè scacciare qualcuno con violenza. Il termine “sboradùr”, dunque, richiama l’azione di scagliare con violenza un oggetto.

 

Varie tipologie di gabbie

Le gabbie

Le gabbie erano quelle strutture, originariamente in legno e oggi in acciaio o materiale sintetico, atte ad impedire la fuga agli uccelli in esse rinchiusi. Esse, a seconda del tipo di uccello da imprigionare, assumevano dimensioni diverse: una gabbia media, dalle dimensioni di 25 cm in altezza, 23 cm in larghezza e 30 cm in lunghezza, era adibita ai tordi, alle viscarde e ai sasselli; una gabbia leggermente più piccola era invece destinata ai fringuelli e agli uccelli di uguale o minore taglia.

Numerosi erano gli impieghi che tali strutture svolgevano all’interno del roccolo, in base ai quali esse assumevano denominazioni diverse:

  • “Ol gabiù” (il gabbione) era solitamente adibito ad ospitare gli uccelli da richiamo (come tordi merli, stornelli, e così via) e veniva collocato all’interno del boschetto, appeso in alto mediante una piccola forca. Se esso veniva collocato a distanza dall’impianto, sulla linea di passo degli uccelli, assumeva in nome di “spia”.
  • “La ciocadura” è una gabbia che fa derivare il proprio nome dal canto del tordo, che ha la funzione di richiamo, il quale poteva essere indotto artificialmente solo se si arrecava spavento all’animale. La strategia consisteva nel tenere una civetta imbrachettata e appoggiata su un sostegno, una gruccia in legno imbottito di sacco, e di mostrarla (o alzandola all’altezza dell’altro volatile o scoprendola dal mascheramento di un telo) al tordo, il quale, all’occhiuta apparizione, si spaventa e canta, richiamando i suoi simili posti nelle vicinanze in quanto ritengono ci sia pastura. Ma se il grido emesso è segno di spavento, esso si rivela controproducente in quanto fa allontanare gli altri tordi.

Questa gabbia, delle dimensioni di 15 cm in altezza, 22 cm in larghezza e 28,5 cm in lunghezza, ha la caratteristica di essere bassa poiché l’uccello, quando si spaventa, tende a spiccare il volo e fuggire.

Attualmente il suo utilizzo suscita perplessità in alcuni uccellatori per via della sorte del tordo, i quali tendono a rimpiazzarlo con un fischietto che ne riproduce il verso.

  • “La curidura” è una gabbia poco alta (10-12 cm) ma lunga (minimo 1 m) in cui possono muoversi gli uccelli, esercitando così un certo richiamo e un invito a scendere per quelli in libertà.

All’interno della categoria degli uccelli da richiamo va senza dubbio annoverato lo “zimbello”. Esso è un volatile ben appasturato, attaccato ad uno spago mediante un’imbracatura, che viene sollecitato a muoversi a tempo opportuno per richiamare l’attenzione dei volatili che vi passano nelle vicinanze. Per questo motivo viene posto ben in vista: o per terra su un tratto prativo agli inizi del boschetto o su impalcatura sopra la struttura che compone la galleria.

Gli zufoli

Gli zufoli sono quei piccoli ed ingegnosi strumenti atti al richiamo degli uccelli mediante imitazione del loro canto. La buona riuscita del proprio compito dipende dall’abilità e dalla capacità manifestati dal roccolatore, che deve impratichirsi in seguito ad un costante allenamento.

Oltre agli zufoli con la funzione di attrarre i volatili, ve ne sono altri che, imitando il verso dei rapaci, ottengono l’effetto opposto, ossia spaventarli e indurli a fuggire.


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ATTENZIONE: Le tavole possono essere scaricate anche senza eseguire alcune registrazione a Dropbox!


1 Tratto da S. Calegari, F. Radici, V. Mora, I roccoli della Bergamasca , Grafica & Arte srl, 1996, pag. 39-48


Immagini. I disegni a mano libera sono tratti dal libro: S. Calegari, F. Radici, V. Mora, I roccoli della Bergamasca , Grafica & Arte srl, 1996